Care mie ovaie,
vi ho sempre bistrattate, vi ho sempre detestato. Sin da quando ero una bambina ho odiato il mio essere “femmina” ma riuscivo a sopportare il mio genere perché non sapevo della vostra esistenza. Una felice parentesi che è durata fino a quando non sono diventata un’adolescente, momento in cui vi siete palesate con il primo ciclo mestruale. Il primo ciclo è stato un momento terribile: vissuto da me come un trauma mentre al contrario è stata l’apoteosi della gioia di mia madre che lo ha sbandierato ad alta voce ad amici, parenti e pure ai vicini di casa, facendomi vergognare come una ladra, vicissitudine che non ha fatto altro che ingigantire il mio odio per voi. Proprio per questo siete sempre state un segreto riprovevole da nascondere. I vostri cicli sempre irregolari poi mi facevano sentire sballata, mai a posto, sempre sul chi va là, mai a mio agio. Mi confondevano, mi creavano timori e dubbi, soprattutto dopo i primi rapporti sessuali che invece sarebbero dovuti essere fonte di benessere, qualcosa da vivere con libertà e nella piena spensieratezza. Ho vissuto con orrore i vostri cicli in previsione di fare l’amore con qualcuno perché mi facevano sentire “sporca” e “non a posto”.
C’è stata poi la volontà di non avere figli e ai miei occhi siete diventate ancora più insensate, appendici del mio corpo senza alcuna funzione, siete diventate qualcosa che funzionava poco, male e inutilmente. Anche il mio scoprirmi lesbica ha inciso sul mio detestarvi. A maggior ragione l’idea di amare carnalmente delle donne come me e non avere più il rischio di gravidanze indesiderate vi ha reso ancora più antipatiche, poco importa se avevo più comprensione ed empatia da parte delle mie partner, con cui condividevo i vostri calendari, i fastidi che portavate e le vostre manifestazioni ormonali e umorali. Il mio odio lo avete assimilato tutto e allo scoccare dei quarant’anni, al diventare pienamente una donna adulta avete presentato il conto, un conto salato e ancora più fastidioso allargandolo non solo al vostro perimetro ma a tutto il mio corpo per intero: con la sindrome della pcos con insulino-resistenza.
In questo modo – voi scaltre e perfide – mi avete obbligato a considerarvi, a prendermi cura di voi, a vedervi. Impossibile, infatti, non notare quelle tonde meteoriti bucherellate nelle ecografie. Quelle piccole cisti di cui siete tempestate sono forse i granelli pieni d’odio che vi ho lanciato contro durante tutti questi anni, palline velenose che si sono incastonate dentro di voi come preziose pietruzze. Ora mi obbligate a controllarmi, a lottare contro mille problemi, a misurare sempre il peso, a lottare contro il cibo, a prendere medicine che talvolta non funzionano, a ingoiare pasticche e integratori, a sottoporre il mio corpo a innumerevoli esami, a dover fare sport costante combattendo la mia innata pigrizia, costanti rinunce e cure che spesso portano solo delusione, esasperazione, malessere, sfiducia. Mi obbligate a forzare una mente stanca e senza concentrazione e un corpo che a fine sera è stremato e senza energia, a spaventarmi ogni qual volta perdo troppi capelli o a ispezionare costantemente il mio corpo per eliminare i peli in eccesso o i rotoli di ciccia in più. Mi obbligate a prendere nota di ogni tremore, di ogni senso di confusione, a guardare con disprezzo la pancia sempre gonfia e a litigare con una fame che non ha mai fine e che so mai quanto sia psicologica, quanto sia ormonale o invece fisiologica. Per contrapposizione all’odio, per contrappasso, mi avete condannato alla fame, una fame insaziabile di attenzione costante, sempre presente. Una fame d’amore. Mi avete obbligato a cambiare rotta, perché per ”guarire” io lo so, ora sono obbligata ad accettarvi, a convivere con le vostre continue richieste di attenzione e soprattutto ad amarvi. Non lo so se mai ci riuscirò care mie ovaie, ma ho capito per la prima volta che vi devo considerare complici e non più due nemiche da combattere.